Eccolo qui, il famoso post sulla
formazione del plurale promesso, in attesa di quello sulla sinossi, che
arriverà la settimana prossima.
Dunque, premetto che l’argomento
è ostico (nella mia personale classifica degli argomenti che proprio non riesco
a ricordare della grammatica italiana si aggiudica senza fatica il primo
posto), ma che la vita moderna, internet e il correttore automatico di word
tendono a venirci in aiuto.
Ciononostante immagino che
sarebbe carino saper scrivere la forma corretta del plurale anche in quelle
occasioni in cui non abbiamo questi strumenti a supporto, dunque, cominciamo
dal principio:
In italiano il plurale dei
sostantivi si forma (o almeno, dovrebbe formarsi, visto che è un campo in cui
le eccezioni abbondano) sostituendo la desinenza, seguendo la regola riportata
dalla tabella qui sotto:
Genere
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Desinenza
singolare
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Desinenza
plurale
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Maschile
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O (albero)
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I (alberi)
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Maschile
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E (bicchiere)
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I (bicchieri)
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Maschile
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A (problema)
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I (problemi)
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Femminile
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A (spada)
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E (spade)
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Femminile
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E (luce)
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I (luci)
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Femminile
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IE (moglie)
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I (mogli)
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Femminile
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O (radio)
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Invariabile
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Esiste, però, una quantità incredibile
di sostantivi, detti invariabili, che non forma il plurale secondo queste
regole. Eccoli di seguito:
- Le parole che terminano in “i” (es: il plurale di “brindisi” o di “oasi” risulterà, appunto, “brindisi” o “oasi”).
- I nomi che terminano con vocale accentata (es: il plurale di “città” è, appunto “città).
- I monosillabi (il re, i re).
- I nomi che terminano in consonante (il bar, i bar).
Ed esistono delle eccezioni alla
regola generale. Così succede che:
- Alcuni nomi maschili che terminano in “a” sono invariabili (es: il delta, i delta).
- Alcuni nomi femminili che terminano in “ie” sono invariabili (es: la serie, le serie).
- I femminili che terminano in “o” sono invariabili, però “mano” fa eccezione (la mano, le mani).
- Dei nomi maschili in “-co”, “-go”, alcuni fanno al plurale “-ci”, “-gi” (amico-amici, teologo-teologi), altri “-chi”, “-ghi” (elenco-elenchi, dialogo-dialoghi).
- I nomi in “-ca”, “-ga” fanno tutti al plurale “-chi”, “-ghi” se maschili (monarca-monarchi, collega-colleghi), “-che”, “-ghe” se femminili (banca-banche, paga-paghe).
- Nomi e aggettivi maschili in “io” con “-i” atona hanno sempre il plurale con una “i” sola se terminano in “-cio”, “-chio”, “-gio”, “-ghio”, “-glio”, “-scio”, “-aio”, “-eio”, “-oio”, “-uio” (bacio-baci, vecchio-vecchi, grigio-grigi, mugghio-mugghi, taglio-tagli, uscio-usci, saio-sai, leguleio-legulei, corridoio-corridoi, buio-bui); negli altri casi si preferisce lasciarli invariati.
- I femminili in “-cia”, “-gia”, “-scia” (con i atona), sostantivi e aggettivi, fanno il plurale in “-ce”, “-ge”, “-sce” (lancia-lance, saggia-sagge, fascia-fasce), ma l’-i è spesso conservata nella scrittura.
- Esistono casi in cui è ammessa la doppia scrittura: provincia-province o provincie, denuncia- denunce o denuncie, grigia-grigie o grige, valigia- valigie o valige, camicia- camicie o camice, ciliegia- ciliegie o ciliege.
Per i nomi composti, invece…
Composizione
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Regola
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Nome + nome
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- se la prima parte è complemento della seconda
si fa il plurale della seconda (ferrovia -via di ferro-=> ferrovie).
- se la seconda è complemento della prima, si fa
il plurale della prima (pescespada – pesce con la spada=> pescispada).
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Nome + aggettivo
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Si fa il plurale di entrambi
(cassaforte=>casseforti)
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Aggettivo + nome
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Si fa il plurale del nome (francobollo=>
francobolli)
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Verbo + nome maschile
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Si fa il plurale del nome (grattacielo=>
grattacieli)
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Verbo + nome femminile
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Restano invariati (salvagente=> salvagente)
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Verbo + verbo
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Restano invariati (saliscendi => saliscendi)
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Attenzione, perché anche qui le
particolarità abbondano. In particolare:
- Non c’è una regola fissa per i composti di “capo”. Ne segue che è necessario o conoscerli tutti a memoria (!) o consultare il dizionario.
- Esistono diverse eccezioni alla regola generale. Nel particolare: pomodoro/pomodori (non pomidori come dovrebbe essere), mezzaluna/mezzelune, pianoforte/pianoforti, pescecane/pescecani, ma anche pescicani (in disuso).
E con questo credo di aver
finito.
Invito già chiunque voglia a
segnalarmi imperfezioni e casi particolari che potrebbero essermi sfuggiti.
Termino ringraziando la
grammatica Treccani, “Comprendere e comunicare” di Bettiroli e Corno e
Wikipedia, anche se in alcuni punti non mi ha trovato in accordo.
Un lavoro da certosina. Complimenti!
RispondiEliminaUn appunto. Fa eco al tuo punto 8 (dulcis in fundo), per un certo verso: le regole son fatte per esser disattese. A volte ho letto, valige o camice nella pluralizzazione (licenza linguistica) delle parole . Lo so, nell'ultimo c'è pericolo anche di omografia, ma è quel che si legge ogni tanto. Purtroppo sai che succede? Che gli usi - quando ripetuti - rischiano di inquinare le regole e far crollare le certezze. :(
Enzo, grazie per i complimenti. A dire la verità questo post ha rischiato di farmi impazzire. Aggiorno l'elenco delle eccezioni e aggiungo anche "ciliegie/ciliege".
RispondiEliminaIo sapevo che camicie e camice non potevano essere la stessa parola perché uno dei casi indica la casacca del dottore...
RispondiEliminaQuesta non la sapevo, thanks!^^
Moz-
Infatti ho fatto una breve ricerca in internet e diversi siti riportano quello che dici tu. Penso che sia una dimostrazione di quanto diceva Enzo: l'uso ripetuto inquina la regola... complicato, ma è il suo bello :)
EliminaVedi, ecco perché amo la lingua italiana :)
EliminaMoz-
Indubbia è la preziosità di certi repetita.
RispondiElimina... ehm... toss toss!
RispondiEliminaMi sono riletto.
Che ruffiano che sono!
Qualche approfondimento sulla lingua italiana serve davvero. Forse si parla troppo spesso di tecniche narrative e delle ambizioni degli aspiranti scrittori e troppo poco degli orrori che riempiono i testi. D'accordo che qualcosa possa sfuggire, ma non si può nemmeno pensare di scrivere senza prestare attenzione alla grammatica o alla sintassi! Oppure sì? :S
RispondiEliminaNo Grazia, direi di no! Anzi, direi che è la base da cui partire per costruire.
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